IL CIBO

 


Principio e radice di ogni bene
è il piacere del mangiare.
Ed anche ogni cosa saggia e squisita
ad esso fa riferimento.
                            (Epicuro)




Fisicamente poco attrezzato rispetto ad altri animali, fin dai tempi più antichi l’uomo ha dovuto dedicare un’enorme quantità di energia mentale per imparare a conoscere e a distinguere quali alimenti, tra i molti disponibili, erano sicuri da mangiare. Per centinaia di migliaia di anni gli uomini si sono nutriti di cibi crudi, cioè di carni di animali morti o cacciati e di alimenti vegetali raccolti in foreste e praterie. Poi, circa mezzo milione di anni fa, si è scoperta la cottura del cibo. 
Il primo tipo di cottura fu  quasi certamente l’arrosto, in seguito alla caduta accidentale di un pezzo di carne nel fuoco, senza possibilità di un suo recupero immediato. Questa radicale modificazione della tecnica alimentare rese commestibili molti alimenti che non erano digeribili allo stato crudo ed aumentò il potere nutritivo di altri cibi. Una maggior quantità di nutrienti permise un aumento della dimensione del cervello che passò da circa 400 centimetri cubi fin quasi agli attuali 1400 centimetri cubi e nel corso del Paleolitico all’Homo erectus subentrò l’Homo sapiens. La cottura di radici e di altri alimenti vegetali, l’utilizzo di utensili per la bollitura e di tecniche sempre più sofisticate, come l'affumicatura, per allungare i tempi di conservazione del cibo, rappresentano l’evoluzione logica di quella scoperta iniziale.
Il cibo ha assunto anche un ruolo importante nello sviluppo del linguaggio in relazione alle pratiche primitive di condivisione del cibo intorno al fuoco e alla necessità di ridurre le tensioni legate alla spartizione degli alimenti. Quando poi i gruppi sociali hanno accresciuto le loro dimensioni e ampliato l’estensione del territorio esplorato, la scoperta di una fonte di cibo doveva essere comunicata con maggiori particolari, per spiegare dove si trovava e quanti membri del gruppo poteva sfamare.
Rituali e celebrazioni religiose fanno riferimento al cibo. Nell’Ebraismo un numero notevole dei precetti che guidano la vita di un osservante riguarda la sfera alimentare. Nel Cristianesimo alcune prescrizioni spingono a limitare il consumo di carne, soprattutto con riferimento al periodo liturgico della quaresima. L’Islam non manca di dettare alcune regole su ciò che è permesso o no mangiare e tende a predicare un atteggiamento di moderazione nel consumo di cibi. Altre religioni si caratterizzano sul piano alimentare soprattutto per la proibizione di cibarsi di carne in modo pressoché assoluto, almeno tra le persone più devote. È importante anche  accennare al rapporto tra cibo, conoscenza e peccato. La Bibbia ebraica narra che Adamo ed Eva  commisero il primo peccato nell’Eden mangiando dall’albero della conoscenza. Nella tradizione cristiana uno dei sette vizi capitali, il peccato di gola, si associa ad atti di eccesso alimentare (non a caso Dante ha dedicato un girone del suo Inferno ai golosi).
Il come e il quanto cibo può accomunare e distinguere le persone e i gruppi. Per millenni la carne è stata prerogativa dei ricchi. Il popolo è stato quasi sempre vegetariano o al limite consumava la carne saltuariamente, dal momento che era più conveniente mangiare quotidianamente le uova delle galline, piuttosto che un pasto a base di carne delle stesse; era più conveniente usufruire del latte della pecora o della mucca, piuttosto che consumare l'animale in pochi giorni. È da sottolineare come oggi, a fronte dei cambiamenti storici, la situazione si sia ribaltata e si considerino di particolare valenza culturale e sociale i prodotti tradizionalmente poveri come i cereali, miglio, segale, orzo, un tempo legati alla tradizione contadina.
La condivisione del cibo può costituire il punto di ingresso in una comunità, rendere le persone parte integrante della stessa cultura, metterle in comunicazione. Il dono del cibo, ad esempio, in tutte le società ha sempre avuto un peso rilevante nelle dinamiche sociali. Anche la spartizione del cibo, ovvero l’attribuzione di un pezzo piuttosto che un altro, non è casuale, bensì la riproduzione dei rapporti di potere e prestigio all’interno del gruppo. Curiosamente la tavola dove si consuma il cibo è, per concludere, divenuta uno strumento per definire i ruoli e i rapporti  tra i presenti. La forma del tavolo, rettangolare o tondo, è un elemento di gerarchia o democrazia sociale; il posto a sedere ha una sua precisa valenza a seconda dei contesti storici, sociali o politici.
Gli alimenti forniscono energia perché contengono i fondamentali principi nutritivi: carboidrati, proteine, lipidi o grassi. A ciò si aggiungono vitamine, sali minerali, acqua di cui l'individuo ha bisogno per le funzioni vitali.
I carboidrati, fonte energetica per eccellenza, si suddividono in semplici, tra cui il saccarosio che si utilizza per dolcificare gli alimenti o il fruttosio contenuto nella frutta, e zuccheri complessi, come gli amidi caratteristici dei cereali, della pasta, del riso o delle patate. Le proteine, importanti per mantenere l'organismo in equilibrio di azoto, sono alla base della struttura della vita: gli organismi animali, infatti, non sono in grado di formare depositi proteici da utilizzare nei momenti di bisogno, per cui è essenziale la loro assunzione quotidiana con gli alimenti (carne, uova, formaggi ...). Il terzo gruppo di nutrienti è costituito dai grassi o lipidi, importantissimi come riserva energetica, come costituenti delle membrane cellulari, come mezzo per l'assorbimento delle vitamine liposolubili A, D, E, K.
Sulla base di numerosi studi è stato stabilito che la dieta ideale debba ripartire le calorie giornaliere tra i differenti principi nutritivi nel seguente modo: 60% delle calorie da carboidrati, 30% delle calorie dai grassi e 10% di calorie dalle proteine.
Stabilito che non esiste un alimento al cui interno si possono trovare tutte le sostanze di cui l'organismo umano ha bisogno, è necessario variare quotidianamente la composizione dei pasti.
I vegetali apportano vitamine, sali minerali, fibra alimentare che facilita lo svuotamento intestinale, e molti altri elementi. Un alimentazione corretta, quindi, non può trascurare la presenza quotidiana di vegetali con il posto d'onore occupato dai cereali. 
Il cereale più diffuso nel mondo è il riso che però non può essere usato per la panificazione perché privo di glutine. I cereali più coltivati in Italia sono il grano o frumento, il mais, il riso, l'avena, l'orzo e la segale. Se non ci fosse il frumento, ad esempio, verrebbero a mancare farina e pasta. Il mais è utilizzato principalmente nella produzione di polenta, in quella di corn flakes, di pop corn e, dopo bollitura, nella preparazione di insalate. L'orzo, utilizzato nella produzione di birra e whisky, la segale con cui si prepara il pane nero e l'avena possiedono un limitato valore nutrizionale.
Tra gli alimenti di origine vegetale i legumi, utilizzabili freschi o secchi, sono i più ricchi i proteine e la loro composizione si può paragonare alle proteine animali. L’alto valore nutrizionale dei legumi è inoltre garantito dal loro contenuto di calcio e ferro. L’alto coefficiente di digeribilità della patata la rende un alimento ottimale nelle diete di coloro che presentano disturbi all’apparato digerente. Infine è molto importante per l’organismo umano che frutta e verdura rientrino in abbondanza tra le portate giornaliere per il loro contenuto vitaminico. 
La carne è la parte commestibile dei muscoli striati degli animali ed è per il suo contenuto proteico di fondamentale importanza. In generale le carni possono essere classificate in carni bianche (animali giovani, vitello, capretto, coniglio, pollame), carni rosse (manzo, cavallo, montone), carni nere (selvaggina). La carne bovina è la più consumata nel mondo occidentale. A seconda dell’età dell’animale si distingue la carne di vitello o vitellone (più tenera perché maggiormente ricca di acqua) dalla carne di manzo (ottenuta da bovino macellato all’età di 3-4 anni e indicata per arrosti, brasati, stracotti, bolliti). La carne suina ha oggi, grazie allo sviluppo di sistemi d’allevamento sempre più perfezionati, un minore contenuto di grasso e di colesterolo. Si presta a moltissime preparazioni, senza trascurare la produzione di prosciutti e salami. Le carni ovine sono carni valide dal punto di vista nutrizionale, con una percentuale di grassi raffrontabile con quella delle carni bianche. Le carni di pollo, tacchino, gallina, cappone, faraona e coniglio presentano un’alta percentuale di acidi grassi insaturi e questo le rende indicate per le persone con problemi cardiocircolatori. La carne della selvaggina è più consistente di quella degli animali da cortile ed ha un sapore più marcato. Le frattaglie come il fegato, il rene, il cervello, la milza, le animelle, la trippa, le coratelle hanno un buon contenuto vitaminico e in sali minerali, ma vanno consumate con parsimonia per il loro elevato tenore in acidi nucleici che degradandosi portano alla formazione dell’acido urico il cui eccesso si deposita nei legamenti, creando non pochi problemi. 
Le uova (genericamente si fa riferimento a quelle di gallina) sono ricche di proteine, di fosfolipidi, importanti costituenti delle membrane cellulari e delle cellule cerebrali, nonché di vitamine A e D. Sono però ricche anche di colesterolo e non vanno consumate troppo frequentemente.


Con il nome di formaggio si intende il prodotto che si ottiene dal latte attraverso la coagulazione acida o col caglio, con l’eventuale utilizzo di fermenti e di sale da cucina. Le differenze tra i vari tipi di formaggio sono legate alla percentuale di grasso presente, al tipo di stagionatura, alla consistenza della pasta. Il formaggio, per il suo contenuto in proteine, vitamine, in calcio e fosforo, è molto indicato per coloro che non fanno un abituale consumo di latte.
La carne del pesce ha una struttura e una quantità di proteine uguali a quella degli animali terrestri  di cui l'uomo si ciba, ma ha una  maggiore digeribilità. I lipidi si differenziano da quelli delle altre carni poiché sono costituiti per due terzi da gliceridi con acidi grassi insaturi e contengono una notevole quantità di vitamine e di sali minerali quali il calcio, il fosforo, lo iodio, il potassio, il rame, il selenio e il sodio. Fra pesci a carne magra e pesci a carne grassa, è bene sapere che il valore nutritivo dei primi è leggermente inferiore a quello della carne di manzo, mentre il valore nutritivo degli altri è molto elevato. Tra pesci d’acqua dolce e pesci di mare, questi ultimi sono più nutrienti, sebbene meno digeribili. Fra i pesci, quello definito “azzurro” si presta a molte preparazioni  ed è  nello stesso tempo di gradevolissimo sapore. La definizione di "pesce azzurro" non è scientifica, ma piuttosto generica e non risponde in pieno nemmeno ad una caratterizzazione del colore delle specie normalmente accomunate sotto questo nome.
Valutando la composizione in sostanze nutrienti dei crostacei (gamberi, scampi, aragoste, granchi...) si nota che sono ricchi di proteine (dal 13 al 18% del loro peso);  contengono quantità minime di grassi, spesso al di sotto dell'1% del loro peso. Ricchi di vitamine del gruppo B, apportano minerali rari, come il selenio.
I molluschi con conchiglia in un solo pezzo (lumache di mare, patelle) o con conchiglia in due pezzi (cozze, ostriche) hanno una composizione in sostanze nutritive simile tra loro (le proteine corrispondono a circa il 10% del peso, i grassi sono i tra l'1 e il 3 % del peso e si tratta di grassi tra i più ricchi di acidi grassi omega-3, salutari per il cuore, di cui risulta particolarmente ricca la vongola, sono una fonte eccellente della rara vitamina B12 e di minerali: iodio, ferro, zinco e selenio). I molluschi senza conchiglia (calamari, seppie, polpi) hanno un livello di proteine intermedio tra i molluschi con conchiglia e i crostacei (10-14%), con un contenuto di grassi (1,5-3%) e una composizione di minerali e vitamine meno completa rispetto ai molluschi in conchiglia.
Premesso che non esiste una dieta ideale, ma una dieta adatta a ogni individuo basata sui suoi gusti e i suoi bisogni fisiologici, è lecito indagare sull’esistenza di un modello di alimentazione in grado di ripartire nel modo più corretto i principi nutrivi appena elencati.
In quest’ottica è necessaria una breve trattazione relativa alle grandi tradizioni culinarie a partire da quella tipica del bacino del Mediterraneo.
Durante l’alto Medioevo la civiltà alimentare nata dalla fusione tra i modelli alimentari di due diverse civiltà, quella romano-cristiano e quella germanica, si incrocia con il mondo arabo e incomincia ad introdurre specie vegetali prima sconosciute o utilizzate solamente dalle classi sociali più benestanti, a causa dei prezzi elevati. Tra i prodotti introdotti nella cucina mediterranea troviamo la canna da zucchero, il riso, gli agrumi, le mandorle, le melagrane, la melanzana, lo spinacio e le spezie. La scoperta dell’America si traduce nell'arrivo di nuovi prodotti alimentari: la patata, il pomodoro, il mais, il peperone e il peperoncino, nonché diverse varietà di fagioli. Il pomodoro fu il primo ortaggio rosso che arricchì il nostro paniere dei vegetali ed è divenuto simbolo della cucina mediterranea, in particolare, della cucina italiana. Se la centralità delle verdure è uno dei caratteri più originali della tradizione mediterranea, è importante ricordare anche il ruolo dei cereali come base della cucina povera e come mezzo, in tempi lontani, di sopravvivenza quotidiana, data la loro “capacità di riempimento” riducendo i morsi della fame delle classi meno abbienti. Pane, polenta, cous-cous, zuppe, paella e pasta rappresentano modi diversi di consumare i cereali.
Nonostante i mutamenti delle abitudini alimentari e degli stili di vita che si sono verificati a partire dalla seconda parte dello scorso secolo, la dieta mediterranea per la sua capacità di combinare sapientemente ortaggi e cereali  con prodotti di origine animale, assicura una nutrizione valida, equilibrata, adatta a qualsiasi età, in grado di prevenire molte malattie e continua a essere un punto di riferimento non solo nel Mediterraneo, ma anche in altre regioni del mondo.
La cucina orientale è davvero caratteristica, ricca di sapori poco usuali per i popoli occidentali. In modo particolare la cucina cinese vanta una straordinaria varietà di ingredienti ed eccellenti qualità dietetiche. Gli alimenti sono divisi a seconda della loro natura in alimenti yin e yang. Gli elementi più ricchi di yin sono gli alimenti freschi e non sottoposti a particolari procedimenti, né durante la coltivazione, né durante la conservazione, come le verdure fresche, la frutta, i cereali integrali, le uova e le carni fresche di animali selvatici o pesci. Viceversa, le carni frollate, i prodotti raffinati (zucchero, farina, ecc.), per i processi a cui sono sottoposti, perdono il patrimonio energetico di yin per diventare yang. Per la filosofia taoista, il mondo è un divenire continuo la cui forza propulsiva deriva dall’opposizione dello yin e dello yang. La cucina deve perciò badare a rispettare l’equilibrio e l’armonia di queste categorie di ingredienti.
La cucina anglosassone, in particolare nord americana, nasce da logiche, approcci, contesti sociali molto diversi da quelli citati in precedenza. Una tradizione alimentare che abusa di zuccheri, proteine e grassi animali, una generale e modesta propensione degli anglosassoni per la cucina, l’assenza oggettiva di prodotti tipici che caratterizzino uno stile culinario sembrano avere impedito nel Regno Unito e in Nord America lo sviluppo di una cultura gastronomica originale e di elevata qualità. Già a metà dell'800 una scrittrice anglosassone scriveva: “I cibi più malsani sono quelli fatti da una cattiva cucina, come il pane pesante e acido, i dolci, la pasta sfoglia e le altre preparazioni a base di farina e grassi mescolati e cotti. La cucina non riesce a causa dei modi rapidi con i quali viene eseguita e per gli eccessi di calore. Spesso prodotti della miglior specie sono rovinati nella preparazione al punto da non aver più nulla di mangiabile!" Per quanto riguarda gli Stati Uniti, ciò che appare molto strano  è che, nonostante il fenomeno delle migrazioni di uomini appartenenti a tutti i popoli e a tutte le civiltà, non si è innescato un processo di contaminazione creativa capace di portare alla nascita di approcci culinari originali. Al contrario, si osserva un generale livellamento verso una mediocrità condivisa.
Oggi la globalizzazione e una crescente mobilità tra Paesi, il desiderio di scoperta dei tratti caratteristici delle altre civiltà in un processo di avvicinamento all’”altro” hanno modificato il paesaggio culinario. Nel corso degli ultimi decenni la distinzione tra queste tre grandi tradizioni alimentari è diventata sempre più confusa.
Anche i rapporti dell’uomo con il cibo sono cambiati rispetto a quelli che hanno segnato lo stile di vita delle generazioni passate. Il cibo viene sempre più spesso acquistato pronto, da mangiare o scaldare, rinunciando in questo modo a sapere realmente cosa si sta mangiando e perdendo ogni contatto con l'atto del cucinare inteso nel senso della creazione di qualcosa a partire da semplici ingredienti di base. Appare smarrita la visione del cibo come piacere: alla qualità si è sostituita la quantità. Il cibo, che viene consumato sempre più spesso in luoghi diversi dalla tavola, facendo perdere all’esperienza del pasto il carattere di ritualità e di socialità che ha storicamente avuto, assume sempre più spesso la forma di “ semplice approvvigionamento calorico”. Oltre alla qualità si è persa molto spesso anche la “varietà”: le diete tendono ad appiattirsi su di un modello “universale”, che unifica tutte le tradizioni culinarie, di fatto perdendone le caratteristiche distintive.
Occorre riavvicinarsi alla cucina con piacere e con gusto,rivalutare la tavola come punto d’incontro, iniziare un lavoro di demolizione di una incultura alimentare che sta sempre più consolidandosi e ricordarsi che si vive solo una volta, ma se lo si fa bene, è sufficiente  e che comunque la vita è troppo breve per nutrirsi male.






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