L'ITALIA DEL RISORGIMENTO (2)



Il movimento nazionale italiano alla vigilia della prima guerra di indipendenza
Le vicende insurrezionali avevano evidenziato le manchevolezze delle società segrete e si imponeva la necessità di una più efficiente organizzazione della lotta. Interprete di questa esigenza fu Giuseppe Mazzini. Nel 1831 Mazzini si trovava a Marsiglia in esilio dopo l'arresto e il processo subito l'anno prima in Piemonte a causa della sua affiliazione alla Carboneria. Non potendosi provare la sua colpevolezza infatti la polizia lo costrinse a scegliere tra il confino in un paesino del Piemonte e l'esilio. Mazzini preferì affrontare l'esilio e nel febbraio del 1831 passò in Svizzera, da qui a Lione e infine a Marsiglia dove avviò un'analisi del fallimento dei moti nei ducati e in Romagna del 1831.Si convinse che la carboneria aveva fallito innanzitutto per la contraddittorietà del suo programma e non era riuscita a mettere in atto un collegamento più ampio delle insurrezioni per le ristrettezze provinciali dei progetti politici, com'era accaduto nei moti di Torino del 1821 quand'era fallito ogni tentativo di collegamento con i fratelli lombardi. Infine Mazzini arrivò alla conclusione che bisognava desistere, come nel 1821, dal ricercare l'appoggio dei principi o, come nei moti del 1830-1831, l'aiuto dei francesi.
L'associazione da lui fondata nell'agosto del 1931, la Giovine Italia, costituì l'antitesi della Carboneria e uno degli elementi fondamentali del risorgimento italiano. L'obiettivo di questa organizzazione era quello di trasformare l'Italia in una repubblica democratica unitaria, secondo i principi di libertà, indipendenza e unità.
Nel 1833 la Giovine Italia organizzò il suo primo tentativo insurrezionale che aveva come focolai rivoluzionari Chambery, Torino, Alessandria e Genova dove contava vaste adesioni nell'ambiente militare. Ma prima ancora che l'insurrezione iniziasse la polizia sabauda a causa di una rissa avvenuta fra i soldati in Savoia, scoprì e arrestò molti dei congiurati, che furono duramente perseguiti. Fra i condannati figuravano i fratelli Giovanni Ruffini e Jacopo Ruffini, amico personale di Mazzini e capo della Giovine Italia di Genova, l'avvocato Andrea Vochieri e l'abate torinese Vincenzo Gioberti. Tutti subirono un processo dal tribunale militare, e dodici furono condannati a morte, fra questi anche il Vochieri, mentre Jacopo Ruffini pur di non tradire si uccise in carcere mentre altri riuscirono a salvarsi con la fuga.
Il fallimento del primo moto non fermò Mazzini, convinto che fosse il momento opportuno e che il popolo lo avrebbe seguito. Si trovava a Ginevra, quando assieme ad altri italiani organizzò un'azione militare contro lo stato dei Savoia. A capo della rivolta fu posto il generale Ramorino, che aveva già preso parte ai moti del 1821. Questa scelta però si rivelò un fallimento, perché il generale si era giocato i soldi raccolti per l'insurrezione e di conseguenza rimandava continuamente la spedizione, tanto che, quando il 2 febbraio 1834, si decise a passare con le sue truppe il confine con la Savoia, la polizia ormai allertata da tempo disperse i volontari con molta facilità.
Nello stesso tempo doveva scoppiare una rivolta a Genova, sotto la guida di Giuseppe Garibaldi, che si era arruolato nella marina da guerra sarda per svolgere propaganda rivoluzionaria tra gli equipaggi. Quando giunse sul luogo dove avrebbe dovuto iniziare l'insurrezione non trovò nessuno, e così rimasto solo, dovette fuggire. Fece appena in tempo a salvarsi dalla condanna a morte emanata contro di lui, salendo su una nave in partenza per l'America del Sud.
Mazzini, invece, poiché aveva personalmente preso parte alla spedizione con Ramorino, fu espulso dalla Svizzera e dovette cercare rifugio in Inghilterra. Lì continuò la propria azione politica attraverso discorsi pubblici, lettere e scritti su giornali e riviste, aiutando a distanza, gli italiani, a mantenere il desiderio di unità e indipendenza.
Il 13 giugno 1844, i fratelli Emilio e Attilio Bandiera, che avevano aderito alle idee dì Mazzini e fondato una loro società segreta, tentarono di effettuare una sollevazione popolare in Calabria. Il 16 giugno 1844 sbarcarono alla foce del fiume Neto e partirono per la Sila con pochi compagni. Traditi vennero avvistati e catturati. Furono tutti condannati a morte e fucilati nel Vallone di Rovito nei pressi di Cosenza il 25 luglio 1844.
Anche se l'insuccesso dei moti fu assoluto, questi eventi fecero nascere nell'opinione pubblica italiana ed europea la sensazione di una situazione insostenibile a cui bisognava porre rimedio.

Nessun commento:

Posta un commento